martedì 1 dicembre 2009

Baglioni una volta era un concreto.


(Chiedo preventivamente scusa alla scena musicale indie per l'ammissione di colpa che leggerete fra breve)

Così, pensieri inutili che mi girano per la testa in questi giorni. Perché tenerseli per sé quando uno ha un blog?

Vabbè, lo dico? Lo dico: è tutta colpa di Carmine. Cioè, in parte è colpa di Carmine però quella parte è la parte più grossa.

Ok, lo confesso come è giusto che si faccia in queste occasioni: anni fa ascoltavo Baglioni.
Cioè, ho ascoltato "La vita è adesso", ho approfondito "Alè-oo" perché stavo dietro a una che è meglio lasciare stare (e che, per la cronaca, non me l'ha fatta vedere nemmeno da lontano), poi sono andato a un concerto dove sul palco c'era solo lui col pianoforte ("Assolo", appunto) e poi il mio amico Daniele, da vero amico, mi ha regalato per un compleanno "Oltre" (ok, l'avevo chiesto io, ma lui, quando mi ha dato il disco, sopra ci ha attaccato un'etichetta degna del suo genio: "Attenzione, l'Associazione Critici Musicali avverte gli acquirenti che il presente disco è considerato PRESUNTUOSO". Genio puro.)

Però poi avevo smesso. Io per la mia strada e Baglioni a strafarsi di botox.

Ma dopo qualche anno arriva Carmine con "Oudeis".
Bene, se vuoi capire di che cazzo parla "Oudeis" devi conoscere l'Odissea e comunicare con Carmine. Ma, se vuoi comunicare con Carmine (e capire un po' meglio "Oudeis"), devi conoscere Baglioni.

È inutile protestare. Se io non avessi conosciuto Baglioni, col cavolo che usciva fuori la copertina del primo libro di "Oudeis" (che, per i non baglioniani in ascolto, è una palese citazione della copertina di "Oltre").
Ma perché Baglioni? Perché buona parte delle suggestioni che qua e là fanno capolino nelle vicende del tecno Odisseo dalla memoria in pappa raccontato a fumetti da Carmine, accennano a quel capolavoro di macchinosità e cervelloticità (oppure monumento all'insicurezza) che è la "trilogia dei colori".

E quindi, negli anni in cui ho lavorato con Carmine su "Oudeis", mi sono ascoltato e riascoltato quei tre album ("Oltre", "Io sono qui" e "Viaggiatore sulla coda del tempo") e, c'è poco da fare, a me le cose imperfette attraggono da morire.

Sì perché tra il 1990 e il 1999 Baglioni spara alto e tira fuori una roba che fa dell'imperfetto la sua cifra stilistica: si destreggia tra fantascienza, flusso di coscienza spinto, strutture musicali sempre più contorte e arzigogolate (da eterno insicuro, l'ho già detto), canzoni dalla struttura continuamente germinante in cui più volte viene rimessa in discussione la struttura rassicurante del ritornello (che prima scompare, ma poi riappare completamente reinventata).
Il tutto dentro dei concept album (quanto meno retrò come scelta) abitati da personaggi che si guardano attraverso il tempo e dialogano allegramente di qualcosa che ha sempre a che fare con donne che se ne vanno dolorosamente e infanzia che sta sempre lì a voler aggiungere qualcos'altro.

Ora, quei tre album lì, si è capito fin da subito che dentro il panorama della musica leggera ci stavano malissimo. E non perché non avessero una vocazione popolare (i temi presenti e il modo in cui vengono trattati non vanno oltre il popolare), quanto perché la loro struttura musicale, pur rifacendosi a quella popolare, si orienta in modo differente: guarda più l'architettura dell'opera lirica che non il brano pop da 3 minuti.
Ci sono dentro dei brani scritti in quel modo solo per dimostrare (e di nuovo l'insicurezza) che Baglioni riesce a tenere una nota per un sacco di tempo e con un'estensione vocale assolutamente invidiabile. Cioè virtuosismi che la voce di Baglioni si può permettere.
Fateci caso: in tutti quei programmi tipo X-Factor è rarissimo che qualcuno si cimenti con le canzoni del Baglioni anni '90 proprio perché presuppongono una struttura della voce molto particolare (e, in parallelo, sono brani complicati da suonare perché scritti in maniera poco lineare).
Se un giorno Baglioni prendesse la "trilogia dei colori" e, dopo aver acconsentito a lavorare con qualcuno che gli aiutasse a limare gli eccessi di ego (ecco, diciamo che Tognetti non mi sembra proprio la persona giusta per fare questo: Tognetti sta a Baglioni come Rick McCallum sta a George Lucas. Qualche colpa dovrà pure avercela pure lui, no?), ne facesse un'opera lirica, a parte che sarebbe un'opera lirica su lui stesso (quindi interessante… così così), probabilmente tutti quegli schemi e controschemi che ci ha voluto ficcare dentro assumerebbero la loro più giusta connotazione.

Detto questo, però, c'è da dire che proprio in quegli album lì si fa sempre meno sopportabile la tendenza di Baglioni a prendere una parola e giocarsela per tutta la canzone all'ultima assonanza: "sono solo sotto il sol e so solo un solo in Sol" e "e nello sconcerto cominciai il concerto e incerto" sono solo due tra gli infiniti esempi che potrei citare di questo modo tutto baglioniano di prendere la lingua italiana e farsene masturbazione (con la scusa del linguaggio evocativo). E il tutto accompagnato dalla continua domanda: "Claudio, ma di che cazzo stai parlando esattamente?"

Eppure, se uno va indietro con la memoria, ti ritrova un Baglioni che, da giovane, era tutto meno che evocativo. Cioè, Baglioni da giovane, nelle sue canzoni, era proprio concreto: c'è questa storia di una che ha messo le corna al marito e adesso non sa come risolvere la cosa (Signora Lia). O la storia di quest'altro che torna dal militare e, mentre gira per il mercato, vede la morosa che mette la lingua in bocca a uno che non è lui (Porta Portese). O la storia di questa figlia di contadini che scopre che là sotto qualcosa comincia a muoversi e il padre pensa che sia un po' zoccola (ragazza di campagna). Oppure la storia di una turista inglese che arriva ad un soffio dal farsi stuprare da un italiano che le ha dato un passaggio (W l'Inghilterra).
Storie con un inizio e una fine.

Ecco, tra le tante cose, mi domando come da quella concretezza là si sia arrivati a "al crocevia di una via crucis, via la croce e così sia".
Boh? Non lo so. Credo che la risposta sia nascosta tra le pieghe della famigerata maglietta fina o in quello che trasudava nel '51 dal muro del subaffitto di Montesacro.
Fatto sta che io non la conosco ma, comunque sia, è colpa di Carmine.

3 commenti:

  1. Non si può aggiungere altro. Magari sei un pò estremo su certe cose. Ma purtoppo è così.

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  2. Sei un genio. Una delle migliori critiche musicali che abbia mai letto.

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  3. Troppo buono. in fondo siamo qui solo per divertire il pubblico con le nostre facezie.

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