domenica 16 gennaio 2011

Blake & Mortimer forever.

Approfitto della segnalazione che è finalmente uscito il nuovo volume de "Le avventure di Blake e Mortimer", pubblicato in Italia da Alessandro Editore come sempre senza nemmeno una riga di credits (e quindi non sapremo mai chi è il traduttore. Che sia Alessandro in persona?) per inaugurare l'etichetta guilty pleasures del blog e quindi confessare che, sì, i fumetti di Blake & Mortimer sono tra i miei preferiti (ma non è nemmeno una gran rivelazione, visto che ne avevo già accennato QUI)

Leggo le storie di Blake & Mortimer da anni, da quando alle medie il Tosco mi girò i primi volumi firmati da Edgar P. Jacobs (quelli pubblicati da Gandus) e l'innamoramento per questa serie arrivò con Il Marchio Giallo – pietra miliare della letteratura a fumetti – e con il modo sublime in cui Tiziano Sclavi ficcò l'episodio dentro il suo "Tre".
Poi, ad un certo punto, Jacobs passò prematuramente a miglior vita, lasciando a metà una storia (intervenne Bob de Moor a completarla e, da lì in poi, due team di sceneggiatore/scrittore dello studio di Jacobs hanno raccolto il testimone per proseguire le avventure dei due eroi orfani del loro creatore).
Da allora, ogni nuovo volume è stato mio e, grazie alle ristampe, sto recuperando anche i vecchi volumi che, a suo tempo mi prestò il Tosco.

Hergè mi piaceva ma non mi entusiasmava (tranne l'avventura sulla Luna, ma solo perché avevo visto il cartone animato in tv), forse perché la parte avventurosa di Tintin me la rovinavano gli inserti umoristici di Haddock e dei Dupont e la sospensione d'incredulità richieste da cose come l'eta anagrafica del protagonista, la sua somiglianza con il mio compagno di banco alle elementari Paolo Filippini e il cane che pensava (e di tanto in tanto parlava pure).

Jacobs invece era avventura adulta, con uomini veri che facevano cose da uomini veri; e infatti, come in tutte le storie virili d'altri tempi, il legame omoerotico sotteso alla relazione tra i due protagonisti, anche se ovviamente mai mostrato, era sempre presente – basti pensare che ogni tanto si chiamano pure "old chap"...– ed era punteggiato da un'altra relazione, quella con il fetentissimo Olrik, una specie di amore e odio che, tanto per dire, il nostro Alfredo Castelli ha dichiarato di aver guardato per creare l'Orloff di Martin Mystére.
Blake & Mortimer vivevano avventure sempre sospese tra il giallo e la fantascienza, in grado di mescolare in modo unico realismo e fantastico grazie al segno raffinatissimo di Jacobs.

All'inizio, con i primi 3 volumi dedicati all'Espadon e con un segno ancora molto classico, Jacobs raccontava ancora un fumetto sostanzialmente di guerra, una terza guerra mondiale dove i cattivi erano cinesi e Jacobs non si faceva nessun problema a chiamarli "gialli".
Ma poi, con "Il mistero della grande Piramide", Jacobs si dimentica i volumi precedenti, abbandona la linea temporale dell'Espadon riportando la narrazione alla contemporaneità e cambia registro, puntando sul giallo e l'avventura esotica/esoterica (e salta all'occhio come Spielberg, più che il Tintin con cui ce la mena da 30 anni, si deve essere letto e riletto questi due volumi prima di girare i suoi Predatori dell'Arca Perduta)

Credo che mi piacessero da morire quelle pagine con difficilmente meno di 12 vignette e le vignette piene piene di testo, scritto con quell'inconfondibile carattere alto-basso che usa solo il fumetto franco-belga e, oggi più che allora, quello spreco elegantemente snob della cartonatura per sole 56 pagine in carta ruvida che raccontano una storia che riesce nello stesso tempo a proiettarsi nel futuro – un futuro immaginato nella seconda metà del secolo scorso – e a restare saldamente ancorata all'ambientazione degli anni '50.

E così, oggi, per me è impagabile la sensazione di finire di leggere un volume di Blake & Mortimer, infilarlo accanto agli altri nella libreria e restare in attesa che Alessandro traduca il prossimo e lo pubblichi in italiano.

ps: per restare in argomento, ho visto che è uscito – ma non ancora letto – anche un interessante saggio su Blake & Mortimer scritto da Guido Vogliotti e pubblicato da Pavesio Editore (questo).

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